CARI COMPAGNI, CI SIAMO, QUESTA È PROBABILMENTE UNA DELLE ULTIME PUBBLICAZIONI DEL BLOG. DI SEGUITO PUBBLICO LA LISTA DELLE PERSONE "INDESIDERABILI" ALL'INTERNO DEL PARTITO DEMOCRATICO E DELLA SINISTRA ARCOBALENO.
NON PUBBLICHERÒ QUELLI DELLA DESTRA PERCHÈ BENE O MALE, LI CONOSCIAMO GIÀ TUTTI.
IO CONTINUO A SOSTENERE CHE L'UNICO VERO GESTO CIVILE È NON PRESENTARSI ALLE URNE.
NON POSSIAMO PIÙ PERMETTERCI ERRORI…
IL GIUDIZIO DELLE GENERAZIONI FUTURE OGGI PESA SU DI NOI…
NESSUNO CI SALVERÀ, SOLO NOI...
Partito democratico (18)
Benvenuto Romolo: Ex Margherita, condannato in primo grado
nel 1999 a 140 mila lire di ammenda per percosse all’ex
convivente. I fatti risalgono alla metà degli anni Novanta. Il legame
fra i due si era ormai deteriorato. L’uomo politico pensò bene di
concluderlo a ceffoni. La donna lo denunciò e ne ottenne la
condanna. In appello, poi, Benvenuto chiese scusa e risarcì il
danno, ottenendo la rimessione di querela, il «non luogo a
procedere» e l’estinzione del reato.
Bubbico Filippo: Ex Ds, rinviato a giudizio e poi assolto in primo
grado per abuso d’ufficio nel processo sulla defenestrazione del
direttore generale dell’Asl di Venosa (Potenza); indagato a
Catanzaro dal pm Luigi De Magistris per truffa aggravata
all’Unione europea in un’inchiesta su 20 miliardi di lire di fondi
comunitari stanziati per un progetto di bachicoltura in Basilicata
mai decollato; indagato ancora a Catanzaro nell’inchiesta «Toghe
lucane» del pm De Magistris con le accuse di associazione per
delinquere, abuso e truffa in relazione a diverse operazioni del
presunto «comitato d’affari» lucano nella sanità e nei finanziamenti
europei a villaggi turistici in Basilicata.
Carra Enzo: Ex Dc ed ex Margherita, condannato in via definitiva
a 1 anno e 4 mesi per false dichiarazioni al pubblico ministero. Per
i giudici, Carra è un falso testimone che, con il suo
«comportamento omertoso» e la sua «grave condotta
antigiuridica», ha giurato il falso dinanzi al pool di Milano nel
1993, tentando di «assicurare l’impunità a colpevoli di corruzione,
falso in bilancio e finanziamento illecito» nella maxitangente
Enimont.
Castagnetti Pierluigi: Ex Dc ed ex Margherita, ha una
prescrizione per corruzione. Il 5 dicembre 2002 il pm di Ancona
Paolo Gubinelli ha chiesto il suo rinvio a giudizio per corruzione,
accusandolo di aver ricevuto una tangente di 15 milioni di lire nel
1991-92 dall’imprenditore anconetano Luigi Marrino in cambio del
decreto di concessione dell’Istituto vendite giudiziarie. Secondo
l’accusa, Castagnetti – all’epoca capo della segreteria politica del
segretario Dc Mino Martinazzoli – avrebbe accettato quel denaro
«per compiere atti contrari ai doveri del suo ufficio rivestito»
nell’interesse non solo di Marrino, ma anche di un monsignore di
Reggio Emilia, Pietro Iotti, che aspirava a ottenere una quota
dell’Ivg. Ma il 15 aprile 2003 il gup Sante Bascucci gli concede le
attenuanti generiche e dichiara così prescritto il reato.
Cocilovo Luigi: Ex Dc ed ex Margherita, rinviato a giudizio a
Palermo per corruzione, viene assolto nel 2002 pur essendo
ritenuto responsabile del reato, cioè di una mazzetta di 350 milioni
versatagli da un imprenditore edile del Ragusano, Domenico
Mollica, in cambio della "pace sindacale" nei suoi cantieri.
Colpevole, ma assolto: com’è possibile? Semplice. Il Tribunale e
poi la Corte d’appello di Palermo, in base alla cosiddetta legge
costituzionale del «giusto processo», sono costretti a cestinare la
confessione dell’imprenditore che l’aveva corrotto: utilizzata per
condannare Mollica per aver corrotto Cocilovo, non può essere
usata per condannare Cocilovo per essere stato corrotto da Mollica.
Motivo: è stata resa dinanzi al pm, ma non ripetuta in tribunale,
dunque inutilizzabile nei confronti di terze persone. Che però
Cocilovo si sia fatto corrompere, i giudici del Tribunale lo
ritengono più che assodato, tant’è che lo definiscono «collettore di
tangenti... disposto a concedere favori sindacali».
Crisafulli Vladimiro: Ex Ds, ha visto finire in archivio l’indagine
a suo carico per concorso esterno in associazione mafiosa alla
Procura di Caltanissetta, nata dal del filmato dei carabinieri che lo
ritraeva in un hotel di Pergusa mentre abbracciava e baciava il boss
di Enna, Raffaele Bevilacqua, e discuteva con lui di appalti
pubblici, assunzioni e favori vari; in un’altra indagine, aperta per
rivelazione di segreti d’ufficio dalla Procura di Messina, la sua
posizione è stata stralciata con richiesta di archiviazione al gip, che
non s’è ancora pronunciato.
Cusumano Stefano: Ex Dc, nel 1999 quand’era sottosegretario al
Tesoro per l’Udeur nel governo D’Alema, ma non parlamentare, fu
arrestato a Catania per concorso esterno in associazione mafiosa e
turbativa d’asta nell’indagine sugli appalti truccati da 120 miliardi
di lire per la costruzione dell’ospedale Garibaldi; il 13 aprile 2007 è
stato assolto dall’accusa di mafia, mentre la turbativa d’asta è
caduta in prescrizione.
D’Alema Massimo: Ex Ds, s’è salvato per prescrizione del reato
(accertato) di finanziamento illecito nel processo a proposito di 20
milioni di lire in nero versatigli nel corso di una cena, negli anni
80, dal boss delle cliniche Francesco Cavallari, legato alla Sacra
corona unita; ha poi avuto un’archiviazione a Reggio Emilia per i
presunti fondi neri incamerati dal Pci-Pds; archiviata a Roma anche
l’inchiesta per finanziamento illecito nata a Venezia, che lo vedeva
indagato con Achille Occhetto e con Bettino Craxi; a Parma invece,
dove Calisto Tanzi sosteneva di averlo finanziato con inserzioni
pubblicitarie sulla rivista della sua fondazione Italianieuropei,
D’Alema è rimasto un semplice testimone; infine la Procura di
Milano sta ancora vagliando la sua posizione nell’ambito delle
indagini sulla scalata dell’Unipol alla Bnl di Consorte nell’estate
del 2005: il gip Clementina Forleo, che ipotizzava un suo concorso
nell’aggiotaggio di Consorte, ha trasmesso gli atti alla Procura,
sostenendo che non è necessario il permesso del Parlamento
europeo per usare nei suoi confronti le famose intercettazioni
telefoniche.
De Filippo Vito: Ex Margherita, indagato e arrestato nel 2002
nell’inchiesta del pm Woodcock, che chiedeva di condannarlo a 1
anno e 6 mesi per associazione per delinquere finalizzata alla
corruzione e alla turbativa d’asta (presunte mazzette pagate dalla
ditta De Sio per vincere appalti da enti come Inail ed Eni-Agip in
Val d’Agri), De Filippo viene assolto alla fine del 2004 insieme ad
altri politici coinvolti (mentre vengono rinviati a giudizio gli
imprenditori presunti corruttori); indagato nel 2004, sempre a
Potenza, per associazione a delinquere di stampo mafioso, scambio
elettorale politico-mafioso, corruzione e turbativa d’asta per
presunti rapporti con esponenti della cosche della ’ndrangheta e poi
archiviato in fase d’indagine; rinviato a giudizio e assolto
dall’accusa di abuso d’ufficio per uno scandalo della sanità. A
quest’ultimo proposito, come per il suo coimputato Bubbico, il pm
chiede la condanna sua (e di altri 10 imputati) a 1 anno e 8 mesi per
aver cacciato nel 2001 dalla direzione generale dell’Asl 1 di
Venosa (Potenza) Giuseppe Panio e averlo sostituito a Giancarlo
Vainieri, gradito alla giunta e in particolare ai Ds, sebbene i giudici
del lavoro avessero reintegrato al suo posto il dirigente
defenestrato. Ma nella tarda serata del 3 marzo 2008, proprio
mentre a Roma i vertici del Pd lo inseriscono nelle liste per le
elezioni politiche, il Tribunale assolve lui e gli altri imputati perché
«il fatto non costituisce reato». Forse perché, dopo la controriforma
dell’abuso del 1996, il reato scatta solo se è dimostrato l’interesse
patrimoniale di chi fa e di chi riceve il favore e la volontà specifica
di agevolare qualcuno e sfavorire qualcun altro. C’è infine
un’indagine sulle pressioni politiche per alcune nomine ai vertici
delle aziende ospedaliere lucane. Il pm Woodcock, nel 2007,
chiede al Gip di inoltrare al Parlamento la richiesta di usare le
intercettazioni telefoniche «indirette», in cui alcuni indagati
chiacchierano con 9 parlamentari (tra i quali il governatore De
Filippo e l’allora ministro Mastella, che parlano della rimozione del
direttore generale dell’ospedale San Carlo di Potenza, Michele
Cannizzaro, dopo il coinvolgimento di quest’ultimo nell’inchiesta
«toghe lucane» a Catanzaro). Il gip respinge la richiesta, perché nel
frattempo la Consulta ha demolito la legge Boato, sostenendo che
non occorre il permesso delle Camere per usare telefonate in cui
compaia la voce di un parlamentare nei confronti di persone
intercettate, ma non indagate. Dunque il pm potrà proseguire il suo
lavoro senza chiedere nulla al Parlamento. In questa indagine,
secondo un quotidiano locale della Basilicata, è inquisito anche De
Filippo. Ma questi smentisce e la Procura tace.
Gozi Sandro: Fedelissimo di Romano Prodi, è indagato – secondo
«Panorama» – per associazione per delinquere, truffa e violazione
della legge Anselmi sulle logge segrete dalla Procura di Catanzaro,
nell’ambito dell’inchiesta «Why Not» sui fondi pubblici succhiati
da consulenze fittizie e società create da politici calabresi (e non) di
destra e di sinistra. «Why Not» è una società di lavoro interinale
(appartenente al consorzio Clic) che fa capo al ciellino Antonio
Saladino, leader calabrese della Compagnia delle Opere, che nel
2006 avrebbe promesso e forse anche raccolto voti per il
centrosinistra.
Laganà Fortugno Maria Grazia: Ex Margherita, la vedova di
Franco Fortugno – il medico e vicepresidente del Consiglio
regionale calabrese assassinato in un agguato mafioso il 16 ottobre
2005 davanti al seggio dove si vota per le primarie dell’Unione – è
indagata in una delle inchieste della Procura di Reggio Calabria
sulla malasanità nell’ospedale di Locri, dove il marito era primario
in aspettativa e la signora vicedirettrice sanitaria. Ipotesi di reato:
truffa ai danni dello Stato, per presunte forniture sanitarie
irregolari.
Latorre Nicola: Ex Ds, è stato indagato a Potenza per
favoreggiamento, poi ha visto la sua posizione finire in archivio:
ascoltando alcune telefonate di un gruppo di uomini d’affari in
rapporti con lui e con l’ex presidente del Perugia Calcio, Luciano
Gaucci, i magistrati avevano ipotizzato che fosse stato Latorre ad
avvertire l’imprenditore dell’indagine a suo carico. Altre
intercettazioni telefoniche l’hanno portato Latorre a un passo dal
finire indagato a Milano per le scalate bancarie dei furbetti del
quartierino. La sua voce è stata infatti registrata più volte, mentre
discuteva con il numero uno di Unipol, Giovanni Consorte,
dell’assalto alla Bnl, e addirittura con Stefano Ricucci, impegnato
nella scalata al Corriere. Il gip Forleo, quando si è trattato di
trasmettere le conversazioni al Parlamento per ottenere
l’autorizzazione al loro utilizzo, ha scritto che almeno otto
telefonate di Latorre (e D’Alema) attestano «i ruoli attivi ricoperti»
nella scalata Unipol a Bnl, «contrassegnati all’evidenza da
consapevole contributo causale» all’aggiotaggio addebitato a
Consorte. Ora la sua posizione è al vaglio della Procura di Milano,
a cui il gip Forleo ha trasmesso gli atti, dopo che il Senato ha
negato l’ok all’uso delle intercettazioni a suo carico.
Lolli Giovanni: Ex Ds, è imputato in udienza preliminare a Bari
per favoreggiamento nell’inchiesta sui presunti abusi della
Missione Arcobaleno. Nel 1999 il governo D’Alema lancia
l’operazione umanitaria «Arcobaleno» per sostenere i profughi
kosovari fuggiti in Albania durante la guerra civile. Secondo
l’accusa, durante e dopo la Missione, la Protezione civile allora
presieduta da Franco Barberi, grazie a una fitta rete di complicità e
amicizie con «esponenti apicali della politica», mise in piedi una
«associazione a delinquere finalizzata alla commissione di reati
contro la Pubblica amministrazione» (peculato, concussione,
corruzione, abuso d’ufficio) e «ogni altro reato necessario o utile
per i perseguimento degli scopi illeciti». In pratica la magistratura
ritiene di aver scoperto enormi ruberie, tangenti e dirottamenti
degli ingenti fondi pubblici stanziati per i profughi, ma in realtà
rimasti in Italia. Per questo la Procura barese ha chiesto nel
febbraio del 2007 il rinvio a giudizio di 26 persone, a cominciare
da Barberi, giù giù fino a Lolli. Nel 1999, quand’era responsabile
nazionale Associazionismo e Sport dei Ds, Lolli avrebbe informato
due indagati che il loro telefono era sotto controllo, facendo così
saltare gli accertamenti in corso da parte degli investigatori. Di qui
l’accusa di favoreggiamento. L’udienza preliminare è in corso dal
10 maggio 2007. I reati, a tale distanza dai fatti (l’indagine partì nel
gennaio del 2000), rischiano la prescrizione.
Lusetti Renzo: Ex Dc, ex Margherita, già pupillo di De Mita, già
assessore a Roma nella giunta Rutelli, in quest’ultima veste nel
2001 è stato condannato dalla Corte dei conti a risarcire il Comune
di Roma oltre 2 miliardi di lire per consulenze ingiustificate. In
appello l’importo è stato ridotto di un quinto.
Margiotta Salvatore: Ex Margherita, è indagato a Potenza per
falso ideologico e a Catanzaro, secondo l’Ansa, per abuso
d’ufficio. La prima inchiesta è condotta dal pm Henry John
Woodcock, che nel luglio del 2006 ha proposto al gip Alberto
Iannuzzi di chiedere alla Camera l’autorizzazione a utilizzare
conversazioni telefoniche in cui compare anche la voce di
Margiotta. Il caso – dov’è indagata anche la signora Margiotta, cioè
il capo della Mobile di Potenza, Luisa Fasano, per abuso d’ufficio –
nasce dalle indagini che il 6 maggio 2006 portarono all’arresto del
faccendiere Massimo Pizza, accusato di aver messo in piedi
un’organizzazione specializzata in grosse truffe ai danni di
imprenditori. Dalle intercettazioni telefoniche saltò fuori che
Fasano e Margiotta parlavano di una contravvenzione per eccesso
di velocità fatta all’autista del deputato e, secondo l’accusa, si
interessavano per farla annullare. Margiotta avrebbe addirittura
stilato una dichiarazione ufficiale, su carta intestata della Camera
dei Deputati, per attestare che il suo autista correva perché lui
doveva assolutamente arrivare in tempo a una riunione con un
importante ministro della Margherita. Di qui l’accusa di falso
ideologico. Ma dalle conversazioni della Fasano – sia con il marito,
sia con altre persone – emergerebbe anche una fitta rete di rapporti
con uomini politici (soprattutto del centrosinistra), amministratori
locali, alti magistrati di Potenza (in particolare il sostituto
procuratore generale Gaetano Bonomi) e uomini delle forze
dell’ordine, finalizzati a interessi personali e di carriera. Di qui
l’ipotesi di peculato e rivelazione di segreto d’ufficio. L’inchiesta
di Catanzaro, che riguarda anche i coniugi Margiotta, è quella
denominata «Toghe lucane» e condotta dal pm Luigi De Magistris:
l’episodio per cui sarebbe indagato Margiotta per abuso d’ufficio è
il suo presunto ruolo nella nomina di Michele Cannizzaro (marito
della pm potentina Felicia Genovese, indagata e trasferita a Roma)
a direttore generale dell’ospedale San Carlo di Potenza. Nella
stessa inchiesta è indagata certamente per abuso d’ufficio anche la
moglie Luisa Fasano, che il 7 giugno 2007 ha subito anche una
perquisizione a casa e in ufficio: in quel momento si è appreso che
è accusata di aver «influenzato» – dalla postazione privilegiata di
capo della Mobile di Potenza – varie indagini aperte dalla Procura,
«insabbiandone» alcune, ostacolando l’attività di magistrati e
investigatori, operando per «non garantire il genuino andamento
dei procedimenti», cercando di «influire sul loro corretto
andamento», «insabbiandone» alcuni e favorendo «il ruolo politico
del marito» deputato. Letta la notizia sull’Ansa, Margiotta ha
smentito di essere sotto inchiesta («non mi risulta essere indagato e
comunque che non ho ricevuto alcun avviso di garanzia»),
confermando che invece lo è la sua signora.
Papania Antonio: Ex Margherita, il 24 gennaio 2002 ha
patteggiato davanti al gip di Palermo una pena di 2 mesi e 20 giorni
di reclusione per abuso d’ufficio. La vicenda risale al 1998.
Papania, all’epoca assessore regionale al Lavoro, venne coinvolto
in un’inchiesta condotta dalla Procura di Palermo su una
compravendita di posti di lavoro. Secondo i magistrati, alcuni
esponenti di un sindacato, il Failea, avevano promesso assunzioni
a quindici ex detenuti in cerca di lavoro in cambio di somme di
denaro che arrivavano fino a 3 milioni di lire. Per le assunzioni i
sindacalisti si sarebbero rivolti a pubblici ufficiali e politici. A
Papania, che aveva dato lavoro a disoccupati privi dei titoli richiesti
dalla legge, i pm avevano contestato il concorso esterno in
associazione a delinquere e l’abuso d’ufficio. La prima accusa è
stata però archiviata dal gip. Secondo gli investigatori, Papania era
stato contattato dall’organizzazione, guidata da Francesco Paolo
Alaimo, arrestato, per ottenere l’inserimento dei disoccupati. In
un’intercettazione ambientale Alaimo parlava con un altro indagato
di una percentuale del 3 per cento da pagare a Papania solo quando
fosse riuscito «a far traghettare i soldi gestiti dalla Regione a
un’associazione costituita appositamente suggerita dal politico».
Secondo Papania però non vi fu mai nessuna promessa di tangente.
L’indagine ha riguardato piani di inserimento professionale,
cantieri di lavoro, lavoratori socialmente utili, precari tante volte
scesi in piazza per sollecitare assunzioni, scatenando proteste con
incidenti.
Rigoni Andrea: Ex Margherita, è stato condannato a 8 mesi di
reclusione in primo grado per un abuso edilizio sul monte di Porto
Azzurro, all’isola d’Elba, insieme alla madre, alla sorella e al
direttore dei lavori. In appello, poi, si è salvato grazie alla
prescrizione del reato.
Vitrano Gaspare: Ex Margherita, è stato condannato dalla Corte
d’appello di Palermo a 9 mesi di reclusione per falso in atto
pubblico e imputato in Tribunale per abuso d’ufficio. Secondo
l’accusa, per sanare una irregolarità che lo avrebbe fatto decadere
da deputato regionale della Sicilia per aver presentato in ritardo la
domanda di aspettativa, avrebbe falsificato i registri di presenza nel
suo ufficio di dipendente dell’ente Regione, con la complicità di
altri due funzionari.
Italia dei Valori (0)
Sinistra Arcobaleno (3)
Caruso Francesco (Prc): Alcune condanne, arresti e processi per
manifestazioni, «espropri proletari» e altre iniziative «antagoniste».
Caruso viene arrestato a Cosenza nel novembre 2003 insieme a una
ventina di compagni per reati politici gravissimi (che paiono
francamente eccessivi), come l’associazione eversiva finalizzata
alla sovversione dell’ordine democratico ed economico del paese,
per il ruolo avuto durante le manifestazioni «no global» di Napoli
nel 2000 e durante il G8 di Genova nel 2001 alla guida della «Rete
Meridionale del Sud Ribelle». Il Tribunale del Riesame annulla poi
quelle ordinanze, ma nel luglio 2004 Caruso viene rinviato a
giudizio dinanzi alla Corte d’assise di Cosenza per associazione
sovversiva, cospirazione politica e attentato agli organi
costituzionali dello Stato. Nel gennaio del 2008, l’accusa ha chiesto
di condannarlo a 6 anni e l’Avvocatura dello Stato ha avanzato una
richiesta di 5 milioni di euro per «danni all’immagine dello Stato
italiano». Caruso è anche imputato ad Acerra per estorsione
aggravata per aver organizzato un’azione dimostrativa in un
supermercato, bloccando le casse e ottenendo dalla direzione un
quintale di pasta da distribuire gratis alla povera gente. Nel 1996 un
giovanissimo Caruso e altre sei persone si oppongono allo
sgombero della sala studio universitaria di Bologna in via Zamboni
36: per questo, nel 2003, Francesco viene condannato a 10 mesi per
aggressione a un poliziotto e interruzione di pubblico servizio a 10
mesi, ma poi in appello il reato cade in prescrizione, grazie alla
concessione delle attenuanti generiche. Ancora sotto processo per
gli scontri di piazza del 17 marzo 2001, nel 2007 è stato
condannato a 3 anni e 4 mesi per un’irruzione con un centinaio di
manifestanti no global all’Ipercoop di Afragola. In tutti i
procedimenti penali a suo carico, non si è mai avvalso
dell’immunità parlamentare.
Farina Daniele (Prc): Più volte arrestato e fermato per reati legati
alla sua attività politica nel Leoncavallo. È stato condannato
definitivamente tre volte. La prima condanna, del 1989, è a 1 anno
e 6 mesi per fabbricazione, detenzione e porto abusivo di ordigni
esplosivi, resistenza a pubblico ufficiale (manifestazione
antifascista dei collettivi universitari – a Milano nel 1985; scontri
davanti alla centrale nucleare di Montalto di Castro nel 1986): tutti
reati poi coperti da amnistia. La seconda, del 1998, a 10 mesi per
lesioni personali gravi (scontri tra servizi d’ordine sindacale e
Leoncavallo-Milano 1991). La terza, del 2001, per inosservanza
degli ordini dell’autorità, cioè delle ordinanze di Marco
Formentini, sindaco di Milano, sui concerti al Leoncavallo nei
primi anni Novanta. Appena eletto, la Camera l’ha subito sistemato
come vicepresidente unico della commissione Giustizia della
Camera. Ora è ricandidato con l’Arcobaleno.
Pecoraro Scanio Alfonso (Verdi): Ministro dell’Ambiente e
leader dei Verdi, è indagato per associazione per delinquere e
corruzione dinanzi alla Procura di Roma, che nel marzo del 2008
ha ereditato il fascicolo per competenza dal pm potentino Henry
John Woodcock. Probabile che il fascicolo passi al Tribunale dei
ministri, competente sui reati ministeriali. L’ipotesi d’accusa,
emersa da intercettazioni avviate nell’inchiesta su Corona-
Vallettopoli e approfondita dai Carabinieri del Noe (diretto dal
celebre Capitano "Ultimo"), è che il ministro si sia fatto pagare
vacanze all’estero, viaggi in aereo e in elicottero, soggiorni in hotel
di extralusso (per esempio il Town House di piazza Duomo a
Milano, 7 stelle), telefonini e altri regali da alcuni imprenditori
interessati ad appalti per lo smaltimento di rifiuti della Campania, a
bonificare alcune aree inquinate della Basilicata e a ottenere
incarichi per organizzare le trasferte del Ministero. L’agenzia
turistica Visetur avrebbe saldato il conto del soggiorno natalizio di
Pecoraro al Town House, mentre il fratello avvocato del titolare
veniva inserito fra i consulenti del Ministero e la ditta otteneva
l’appalto per occuparsi di alcune trasferte ministeriali. Pecoraro s’è
proclamato innocente e ha annunciato la rinuncia a ogni tipo di
immunità. Anche suo fratello Marco, senatore uscente dei Verdi
(non ricandidato), è indagato con le stesse ipotesi d’accusa.