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venerdì 24 aprile 2009

INTERVISTA COL FUTURO



Oggi tornano le interviste col futuro, con un ospite eccezzionale, che non ha bisogno di presentazioni.


Furio Colombo.


Uno dei più grandi giornalisti viventi. Una sua breve biografia la trovate qui :
http://it.wikipedia.org/wiki/Furio_Colombo
Amico personale dei Kennedy e di Martin Luther King, sua è l'ultima intervista a Pasolini.
Cominciamo...


CRNM: Intanto la ringrazio per aver accettato questa intervista con il futuro.


F.C.: Ringrazio voi per la gentilezza e la pazienza.


CRNM: Cominciamo con la prima domanda: Oltre alla progressiva scomparsa delle notizie dal panorama italiano, notiamo anche la deriva che l'informazione sta avendo nei confronti dello spettacolo. Sacrificando così la verità e l'etica professionale, per audience e pubblicità. L'informazione quando diventa di "consumo" perde la sua poesia e quindi la sua capacità di toccare l'anima degli uomini. Condivide ?


F.C.: La tua domanda è molto bella e poetica. No, non è un errore. La risposta è sepolta sotto il controllo aziendale dell’editoria. È come se sulle notizie si fossero abbattute le macerie di un sisma lento e inesorabile che è avvenuto nel giro degli ultimi tre decenni. Il sisma ha portato ad uno smottamento continuo nella rilevanza del giornalista come reporter, come commentatore, come editorialista, come contributore di idee, e ha provocato la tendenza ad aggirarsi con l’elmetto della disciplina aziendale, del "qui si fa così", del "questo si dice e questo non si dice". A suo modo fascismo e antifascismo negli anni ’20 sono stati un fior di confronto, nel senso che ognuna delle due parti aveva in mente una visione del mondo. Una visione del mondo, non un aggiustamento del potere. Ecco, non è più il caso. Qui il caso è, sul territorio limitato della singola esperienza del fare il giornalista, l’assestarsi degli interessi dell’editore-imprenditore in modo da prevalere. Sul piano più vasto del paesaggio circostante, il potere dell’editore-imprenditore ha cominciato a dipendere a sua volta, e sempre più drammaticamente, o da un altro editore-imprenditore, o da interessi più forti e troppo forti che comunque impedivano dialettiche e discussioni. Quindi le strade si accostano, si assomigliano, si ingrigiscono, si appiattiscono e fatalmente il desiderio mattutino del cittadino normale di mettere le mani sulla copia fresca del giornale appena uscito è diventato sempre e dovunque molto più debole.


CRNM: Nel 1979 Guy Debord scriveva (Prefazione alla quarta edizione italiana de La società dello Spettacolo) che "se Marx pubblicasse oggi " Il Capitale", andrebbe una sera a spiegare le sue intenzioni in una trasmissione letteraria della televisione, e l'indomani non se ne parlerebbe più. [...] Evidentemente, se qualcuno pubblica ai giorni nostri un vero libro di critica sociale, si asterrà certamente dall'andare in televisione, o di partecipare ad altri colloqui dello stesso genere; di modo che, dieci o vent'anni dopo, se ne parlerà ancora.". Lei stesso ha invitato gli esponenti del centrosinistra italiano a "non andare a Porta a porta", a disertare lo "show gladiatorio" delle trasmissioni "tagliate su misura" (Bruno Vespa). La neutralizzazione dello Spettacolo da parte della Verità passa necessariamente attraverso la scelta di un distacco?


F.C.: Ecco, questo non è più vero in gran parte del mondo, però continua ad esserlo in Italia. Penso alla posizione di coloro che non intendono discutere la condizione delle informazioni, delle notizie, del giornalismo, della televisione, dei media e persino della rete in Italia senza discutere del conflitto di interessi. Della rinuncia di non discutere mai più il conflitto di interessi. E questa è la sola condizione alla quale i dominatori dell’Impero delle notizie ti accettano, e tu diventi di colpo il loro beniamino. Il conflitto di interessi è quello che consente di nominare tutte le cariche della Rai al Capo del Governo dalla propria abitazione privata mentre è concessionario dello Stato in quanto proprietario di tutte le altre televisioni private del paese. In altre parole: ignorate lo scandalo immenso e sarete ammessi all’Ordine dei giornalisti. Non ignoratelo e entrerete a far parte di una nuova categoria che chiamerei sottordine dei giornalisti. Caratteristica dell’Ordine è di essere citati, intervistati e trasportati come madonne pellegrine in televisione. Caratteristica del sottordine dei giornalisti è di non essere mai citati, persino se siete deputati alla Camera e se fate discorsi che è un po’ difficile non citare, non perché siano bellissimi ma perché dicono alcune cose che provocano per esempio grande risentimento e reazione nel piccolo pubblico della Camera o del Senato. Ma se appartenete al sottordine questo non fa notizia. Quanto alla mia raccomandazione di non andare a Porta a porta, per tornare alla tua domanda, era una raccomandazione di tipo politico. Anche Porta a porta è una bandiera. La trasmissione è truccata, è rigorosamente al servizio del padrone, questo è stato detto in almeno dieci importanti libri di giornalismo italiano, testimoniato da almeno dieci importanti ed autorevoli voci del giornalismo e della politica italiani, da Pannella a Giovanni Sartori, senza bisogno di entrare nella divisione tra destra e sinistra. Porta a porta è una trasmissione truccata che ha come scopo di far vincere sempre la pallina che appartiene ad una certa persona, ad un certo giro e ad un certo partito. Però dà una grande visibilità. Ecco, io avevo chiesto con tutto cuore ai miei colleghi del Pd e del centrosinistra di rinunciare a questa visibilità, per togliere legittimità a quella trasmissione, in modo che si vedesse subito e a prima vista che è falsa. In altre parole intendo dire che bisognava "ritirare la delegazione", mostrare che non c’era dibattito, perché il dibattito era evidentemente impossibile. La prima dimostrazione sono sempre state le scritte proiettate sulla parete di fondo alle spalle del conduttore, fatte in modo da dare il senso dell’evento prima ancora di avere aperto il confronto. Non andare a Porta a porta non era poi un sacrificio spaventoso. Io facevo un discorso esclusivamente su Porta a porta, non perché ami gli altri talk show ma perché un esempio lo puoi dare solo se ti limiti, e certamente Porta a porta è il peggio, su questo non c’è dubbio. Per esempio a volte io dissento profondamente da Annozero, ma Santoro si espone personalmente, incassa insulti e improperi, si espone nella trasmissione ma soprattutto nella vita, nel senso che prende talmente parte e in un modo talmente vistosamente inclinato che toglie ogni trucco. Poi si può dissentire in modo clamoroso, ma dissentire è uno degli effetti più benefici del giornalismo, mentre "consentire credendo che" è uno degli inganni più gravi. Io mi accorgo molto spesso, nelle e-mail che ricevo o anche nelle domande che mi sento fare nelle sezioni del Pd, quando vado a parlare in periferia o in provincia, che l’argomento parte da Porta a porta. Non parte dalla politica, dalla realtà, ma da Porta a porta. Insomma, in sintesi e per tornare alla tua domanda, Porta a porta è un esempio di trasmissione truccata molto potente che deriva in modo diretto dal conflitto di interessi.


CRNM: Dobbiamo quindi, considerare il fatto che le possibilità di intraprendere in Italia un percorso di giornalismo politico e culturale professionista siano oggi praticamente nulle. Trovare rifugio nella rete è spesso e volentieri l’unica alternativa praticabile per gran parte della nuova generazione culturale e intellettuale del nostro Paese…


F.C.: Il rifugio nella rete è cosa buona, ma è pur sempre un rifugio: paradossalmente conta poco in un mondo di para-notizie. La rete ha due caratteristiche, da una parte brulica di tutte le notizie possibili e quindi di una quantità di notizie vere ed attendibili, dall’altra brulica di un’infinità di altre notizie che non sono necessariamente vere né attendibili. Inoltre non esiste un filtro che possa guidare, se non esperienza politica, di diritto, cultura, riferimento a grandi quadri del passato che servano ad orientarti, insomma un notevole grado di sofisticazione che ti metta in grado di usare la rete in un certo senso come un grande repertorio della vita. La vita non fa che offrirti contraddizioni e inspiegabili fenomeni. Le persone più straordinarie sono quelle che si avventurano dentro le contraddizioni, dentro questi fenomeni inspiegabili ed escono con una risposta d’arte, di scienza o di organizzazione. Queste sono le persone che lasciano il segno, altrimenti l’affollamento delle notizie determina una foresta molto fitta e poco interpretabile. Io penso sempre al fatto che uno dei più grandi utenti della rete che conosca è Umberto Eco. Resta il fatto che Umberto Eco è identico a quando io lo conoscevo, dotato di decine e decine di scatole da scarpe piene di decine di migliaia di schede. Ricordo che in un periodo in cui giovanissimi abitavamo insieme per sostenere le spese di un’abitazione, il suo trasloco consisteva soprattutto nello spostare queste scatole da scarpe piene di schede annotate in calligrafia minutissima, e tante agendine in cui ogni evento era quotidianamente annotato. Ecco, lui aveva già il suo computer, anche se gli mancava l’ordinatore, la possibilità di toccare un tasto e far comparire esattamente ed immediatamente il risultato della ricerca. Si dà il caso che la sua memoria assolutamente fuori dall’umano lo mettesse nelle condizioni di dirigersi direttamente verso la scatola giusta e di estrarre nel punto giusto la scheda giusta, nel momento in cui ne aveva bisogno per una citazione. Quindi non so bene se il computer lo abbia semplicemente indotto ad una vita più distante o se non abbia fatto che rappresentare ciò che lui era già. Però ci vuole una bella statura per usare il computer come strumento culturale e come strumento di notizie, altrimenti si forma da una parte una foresta-rifugio, che però è un po’ fiabesca e assomiglia molto all’universo di Tolkien, e dall’altra si vive in un mondo di para-notizie, che è quello in cui stiamo vivendo noi, che è un mondo in cui le notizie non sono veramente i fatti ma sono la pastorizzazione dei fatti secondo l’ambientazione politico-culturale del momento, del tempo, del luogo e del leader. Queste para-notizie non si incontrano mai con le notizie del web, e allora assistiamo ad un altro uso della rete che è una sorta di continua e frenetica comunicazione.Quindi c’è uno scambio fremente e continuo di contatti che non si alza mai da un piano basso a un piano alto, ma che continua ad estendere un territorio disperatamente uguale.


CRNM: Alla fine, internet non è altro che uno strumento, che anzi potrebbe dimostrarsi più regressivo che progressivo ?


F.C.: Volendo fare una sorta di giudizio sintetico direi che è la condizione ideale per ambientare e rendere felici le intelligenze medie che vogliono sapere quantitativamente di più ma non hanno l’ansia e la disperazione di salire più in alto o di scendere più in profondo. Sembrerà strano che lo dica dopo aver nominato Umberto Eco ma è così, il web non ha nulla a che fare né con l’ansia di salire in alto, né con la lotta, la disperazione, il desiderio, il bisogno di scendere e di esplorare il profondo. La Rete dà a tutti i suoi terminali, a tutte le decine e centinaia di milioni di persone che la usano, come impiegati di una stessa azienda che mantiene tutti più o meno allo stesso livello, salvo la retribuzione. Insomma, non è uno spettacolo straordinario, a meno che non sia incartato dentro lo spettacolo per me indimenticabile della cerimonia di apertura delle Olimpiadi cinesi, che in fondo ci ha offerto una visualizzazione straordinaria del che cosa fa il computer. Vale la pena di vederlo o di ritrovarlo, quello spettacolo realizzato dal regista cinese Zhang Yimou, che è lo stesso autore di un film quasi identico che si intitola "La città proibita". Tutta la sigla di apertura dei Giochi olimpici di Pechino mostrava migliaia di persone, di cui quasi la metà bambini, che facevano gesti quasi identici, appena sfasati di frammenti di secondo, in modo da creare delle continuità e delle armonie che erano possibili soltanto attraverso una partecipazione di massa e una disciplina immensa. A me è sembrata una sorta di clamorosa profezia. Ecco, vorrei che chi può tornasse a vedersi tutta la sequenza dell'apertura dei Giochi olimpici di Pechino.


CRNM: Lei sa che personalmente credo che non vi possa essere una reale rivoluzione senza passare per il cuore e l'anima degli uomini. Come considera dunque il ruolo dell'arte, poesia, musica, ecc. All'interno di un qualsiasi movimento politico ?


F.C.: Immenso ma non misurabile. E il ruolo degli artisti è di essere artisti. La sinistra o la destra non sono una condizione dell'arte e non sono neanche un dato dell'arte. Basti pensare ad Ezra Pound, che è indiscutibilmente un grande poeta. Quindi la mia risposta è un sì incondizionato al contributo dell’arte, anche perché la misteriosità della poesia, come la misteriosità della musica, una volta che scatta e comincia ad esistere non sai dove ti porta, e non ha alcuna importanza se ti porta più vicino o più lontano da ciò che ti sembrano in quel momento certi ideali. È chiaro che probabilmente ti porterà sempre più verso un mondo che hai intuito, che hai amato, che hai intravisto, che hai visto nella nebbia, che hai intercettato da lontano, che ti ha agganciato in un momento di fantasia, di ragione o di cognizione. Però è la poesia che decide, come è la musica che decide. Sono strumenti immensamente più liberi. E quindi la risposta è: immenso, il contributo, ma non misurabile.

CRNM: Per cocludere, lei quali suggerimenti da su come operare, nel presente, una efficace e non autoreferenziale resistenza umanistica ed intellettuale? Come disobbedire?

F.C.: Ci sono due modi per disobbedire. Uno si sta espandendo nel mondo ed è il fuggire fuori dalla politica, invadere i parlamenti, sequestrare i manager, distruggere cose. Una sorta di luddismo contemporaneo che si sta diffondendo e che è facilissimo trasformare in notizia, trasformare in scandalo, così come è facilissimo giocare sulla paura e trasformarlo in strumento di potere. L'altro modo di disobbedire è invece quello che stiamo facendo tu ed io, con precisione insistita e continua. Anche le gocce contano.


CRNM: Grazie di tutto, ma sopratutto di aver trovato il tempo.


F.C.: Dopo quasi un'anno, devo ringraziare voi per la pazienza e la perseveranza. Siete il futuro, non deludeteci...

venerdì 17 aprile 2009

IL FUTURO A DEBITO



Cari Compagni e Compagne di vita, oggi vorrei lanciare una "provocazione terapeutica" tentando di analizzare non notizie ma fatti provati, reali. Per cercare di capire la situazione attuale per quella che è e soprattutto a pensare al futuro per quello che verosimilmente potrebbe essere. Non per quello che vorremmo o ci auguriamo che sarà.

Va da sé che la cosa implichi realismo assoluto. Ebbene, è - o dovrebbe - essere chiaro ormai a tutti che siamo arrivati al countdown finale. Qualcuno, sò per certo, bollerà quanto vado a scrivere come pessimismo cosmico e disfattismo. Lo trovo giusto, ognuno si crea le propie opinioni ed idee. Ma visto che sono convinto di fare unicamente opera di puro - e salutare - realismo, vi prego almeno di provare a seguirmi. Come sempre, ciò che mi interessa, sono le riflessioni che da questo mio caotico scrivere possono sorgere.

Globalizzazione, finaziarizzazione, tessuto industriale, perdita della sovranità monetaria, petrolio ed energie, ecosistema. Tutti ambiti collegati strettamente al fattore economico, come è inevitabile che sia, visto che al centro del nostro sistema di sviluppo, ormai in fase terminale, c’è proprio l’economia. Ed è al suo interno che si deve scrutare, come nella scatola nera di un aereo precipitato, per cercare di capire le cause che hanno portato allo stato attuale. Soprattutto per capire cosa non è lecito aspettarsi - ovvero in cosa è lecito non avere fiducia - al fine di prendere davvero coscienza della situazione.


Cannibale di se stesso.


Il nostro peccato originale è uno e uno solo, e si può riassumere così : sviluppo infinito in uno spazio finito.
È irritante, quasi inconcepibile, pensare a come tutto il nostro modello di sviluppo si fondi sulla responsabilità di chi ha basato i propri calcoli (e la sedicente "scienza" economica) su questo errore e ci ha portato allo stato attuale per non aver compreso (o peggio, tenuto nascosto) un assunto da prima elementare: dato uno spazio finito quanto potrà crescere al suo interno un contenuto?
Ancora di più è incredibile come si sia potuto nascondere a miliardi di persone una verità tanto elementare. E come tutti ci siamo fatti docilmente conquistare e ridurre in schiavitù senza ribellarci. Comprati - letteralmente - da promesse fasulle su un futuro impossibile: diventeremo tutti ricchissimi, bellissimi e immortali.

Cosa che ci introduce subito al primo tassello del mosaico. Ovvero la globalizzazione. Partiamo da oggi e andiamo rapidamente a ritroso: oggi dobbiamo consumare per poter lavorare. Una volta era il contrario: si lavorava per poter consumare, ovvero per vivere. Non solo: oggi lavoriamo anche per coprire dei debiti di varia natura.

La voracità del mercato e della natura intrinseca del sistema stesso ci ha imposto di consumare sempre di più, anche oltre le nostre possibilità.

Questa infatti è stata una crisi di sovrapproduzione fin dall’inizio, anche quando la volevamo mascherare come una crisi di carattere finanziario, quando cioè le banche americane prestavano dei soldi per comprare delle case a persone che non avrebbero potuto restituirle e che facevano in questa maniera, sostenevano l’industria dell’edilizia, consentivano di continuare a produrre al di là di quello che il mercato era in grado di assorbire, era una maniera semplicemente di ritardare la crisi di carattere di sovrapproduzione che stava esplodendo.

Entrambi gli aspetti della crisi, sia quello economico – finanziario, occupazionale, sia quello ambientale sono dovuti al meccanismo della crescita economica, al fatto che l’economia ha come scopo quello di produrre, ogni anno, quantità sempre maggiori di merci e quindi consuma quantità sempre maggiori di risorse e quindi produce quantità sempre maggiori di rifiuti e quindi mette sul mercato quantità sempre maggiori di merci che non si riescono più ad assorbire, perché tutti quanti abbiamo delle case strapiene di oggetti che potremmo anche per anni non comprare più e continuare ad avere ciò di cui abbiamo bisogno.

C’è una pericolosa illusione in questo momento che si possa uscire dalla crisi rimettendo in moto l’economia con il rilancio della domanda e delle produzioni tradizionali, in particolare l’edilizia e l’automobile. Questa maniera che è quello che stanno facendo oggi, non ha via d’uscita, non ha possibilità di realizzazione per due ragioni: 1) perché i mercati dell’automobile e dell’edilizia sono più che saturi, abbiamo moltissime case vuote, abbiamo delle automobili che non sappiamo più dove mettere e il traffico nelle città è un traffico ormai impossibile; 2) perché non soltanto il mercato di questi prodotti sono saturi, ma sono prodotti estremamente energivori, noi siamo abituati a pensare che l’automobile è energivora perché consuma delle benzina, non siamo abituati a pensare che gli edifici, le case sono energivori e sono più energivori delle automobili, perché soltanto per il riscaldamento in 5 mesi il nostro patrimonio edilizio consuma tanta energia quanto consuma tutto il parco delle automobili e dei camion nel corso di un anno.


E dunque ricorrendo ai debiti che possiamo illuderci di continuare ad avanzare. Debiti che sono principalmente di due ordini: economici ed ecologici, o meglio, ecocompatibili.


Nella fase attuale ci troviamo nella situazione di chi ha speso molto più di quanto ha guadagnato e ha contratto talmente tanti debiti da non poter spendere nulla di più e anzi, da essere costretto a lavorare come uno schiavo solo per fare fronte ai debiti da saldare. E il conto è salato. Tanto salato da rendere impossibile che si arrivi ad estinguerlo.


Ma fino a quando potremo continuare a fare debiti, il sistema continuerà a promuovere l'illusione che tutto funziona, da qui che quando le banche decidono di chiudere il rubinetto dei crediti, il sistema si blocca e comincia la crisi.


Risorse in debito.


È iniziato il conto alla rovescia riguardo l'energia. Il petrolio, materia prima che ha permesso l'espansione del capitalismo industriale, sta finendo. Malgrado le poche scoperte annuali di nuovi giacimenti, e malgrado le guerre di conquista dei territori che ne contengono in maggiore misura, la curva di produttività sta rapidamente scemando. Stiamo raggiungendo, peraltro, la curva di rendimento. In parole molto semplici: tra poco per ogni barile di petrolio estratto dovremo impiegarne un altro per estrarlo.

Per mantenere l'illusione qualcuno ipotizza di iniziare a depredare nuovi giacimenti di carbone. Qualcuno sostiene il nucleare. Qualcuno addirittura l'idrogeno.


Prima mistificazione: l'idrogeno è una fonte di energia. Sbagliato. L'idrogeno è un vettore di energia. È un elemento che non esiste allo stato naturale. Per procurasi l'idrogeno si deve ricorrere ad altre fonti di energia. Vero è che una volta bruciato (calore o conversione energetica) si produce come scoria solo innocuo vapore acqueo, ma il problema è a monte: per estrarlo e lavorarlo si devono usare processi chimici ed elettrolisi. E dunque elettricità. E siamo da capo. L'energia necessaria per produrlo è superiore a quella che si ottiene a processo finito. Per lo meno in questo momento.

La via d'uscita non è nemmeno nel nucleare, che è una tecnologia incompleta, visto che produce scorie dannosissime per le quali ancora oggi non è stato trovato un sistema di smaltimento sicuro e definitivo oltre al problema dell’uranio, che anch’esso, prima o poi finirà. Stesso dicasi per altri fonti energetiche che bruciano qualcosa (carbone, legno,rifiuti...) e che immettono nell’aria altri rifiuti.

L'unica prospettiva realistica pertanto è quella di consumare meno energia. Ovvero di usare quella che non produce scorie (sole, vento) ma a patto di tenere bene a mente che questo tipo di energia non sarà mai sufficiente a mantenere il consumo attuale. Il che significa averne a disposizione molta meno di quella che abbiamo utilizzato sino a ora depredando la terra, inquinando le nostre vite e modificando il nostro pianeta. Dunque, si tratterà di cambiare sensibilmente il proprio stile di vita. E di fare i conti con chi, pur di non modificarlo, continuerà a uccidere la terra e il futuro dei nostri figli.


Industria al limite.


È iniziato il conto alla rovescia anche del tessuto industriale, soprattutto di quello invischiato nel gioco globale ( le grandi aziende per intenderci.). E non solo per i motivi energetici che abbiamo visto. Ma anche per altri due motivi: da una parte il fatto che la merce ha saturato le umane possibilità di accumulo e acquisto; dall'altra parte per il fatto che qualunque Paese, perdendo posti di lavoro in seguito alla delocalizzazione delle aziende verso mercati con un costo del lavoro più basso e nessuna regola contrattuale, non è più in grado di consumare, né di fare debiti per continuare a farlo.

Con una popolazione impoverita, fiaccata da precariato e disoccupazione, schiacciata dai debiti già contratti e senza possibilità di farne altri, come si può sperare in una ripresa industriale?

L'errore delle aziende è stato proprio quello di non comprendere che la delocalizzazione ha permesso sì a loro di ridurre i costi e massimizzare i profitti sul breve termine, ma allo stesso tempo ha ridotto le possibilità di acquisto (ovvero il denaro che i lavoratori erano in grado di spendere dopo averlo guadagnato) di chi poi avrebbe dovuto comperare. Produrre altrove e ridurre la forza lavoro in Italia ha contribuito a bloccare il circuito, falcidiando la capacità di acquisto proprio nello stesso luogo in cui la merce prodotta altrove tornava per essere venduta. Senza considerare la provenienza indiscriminata di altri prodotti da parte di altri Paesi (vedi la Cina), a costo ancora più basso.

Con lo sfruttamento assoluto del presente si è finito col bruciare tutto il futuro possibile.


Ora, realisticamente, con una popolazione impoverita, fiaccata dal precariato e dalla disoccupazione, con debiti economici già contratti e dunque nessuna possibilità di acquisto, come è possibile sperare in una ripresa del tessuto industriale? Chi comprerà cosa? E con quali soldi?


L'illusione.


Sapete cosa può - temporaneamente - fare finta di salvarci? Un'altra bolla. Un'altra speculazione. Un altro spostamento in là grazie ai debiti o a nuove forme di debito.I padroni del mercato globale faranno di tutto per inventarsele. E i media ufficiali, che ai signori sono collegati, faranno di tutto per non raccontare le cose come stanno e per coprire per l'ennesima volta lo stupro sistematico dei cittadini.Aspettare una nuova bolla - sia pure senza considerare quanto abbiamo detto in merito al petrolio, all'energia e ai problemi ecologici dietro l'angolo - equivale però a dire che non si tratta di un salvataggio. Ma di uno spostamento nel tempo dello schianto. Una dilazione che non farebbe altro che peggiorare la situazione, peraltro. Caricando le generazioni - attenzione: non quelle che sopravverranno tra qualche secolo, ma già quella attuale e quelle immediatamente successive - del conto che nel frattempo si sarà gonfiato ancora di più a dismisura.


Cosa aspettarsi? Immaginatelo voi stessi. Con un suggerimento di metodo, però: seguite la logica e il ragionamento. Pensate a cosa può accadere, non a cosa vorreste che accadesse. Tanto meno a cosa ci dicono che accadrà. Insomma, ragionate con la vostra testa e non fatevi abbindolare dai richiami di politica e media: esattamente quei richiami che hanno portato (per molti inconsapevolmente, per altri colpevolmente) allo stato attuale delle cose. La prossima volta proveremo a ipotizzare il momento zero. Perché ci aspetta e va pertanto affrontato. Con forza, onore e dignità. Certo, cambiando sensibilmente le proprie abitudini. Nel prossimo post proverò ad ipotizzare qualche azione da intraprendere - e da subito - per non farci trovare del tutto impreparati nel momento in cui i processi che abbiamo delineato arriveranno a compimento.


Per adesso un abrazo e buon venerdì a tutti.

IL SILENZIO È DEI COLPEVOLI


La parola e` l’archetipo dal quale in ogni religione, la creazione prende origine.
L’essere umano e` la sola specie dotata di parola, siamo gli unici dunque, in grado di comprendere la creazione.

L’unione di molteplici punti di vista, la libera comunione d’idee ed esperienze sono per me, il solo sistema che possediamo per progredire com’esseri viventi. Questa è una delle ragioni che mi portano a scrivere. Perché la scrittura a differenza delle volatili parole, permane.
Non sono uno scrittore, non possiedo, infatti, l’arte del dire per iscritto. Da sempre pero` traccio segni indelebili, per raccontarmi e raccontare. Questo mi rende un semplice, artigiano di parole.

Quello che segue non ha altro valore oltre a quello che vorrete attribuirgli. Non vi sono verità assolute, ma opinioni che vi possono offrire alternativi punti di vista. Il mio unico auspicio è che possiate riflettere, così come ho fatto io, sulle molteplici cose che la vita mi ha portato a conoscere.