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sabato 12 gennaio 2008

L'UOMO A UNA DIMENSIONE


CARI COMPAGNI DI SEGUITO PUBBLICO LA PRIMA PARTE DI UNA LUNGA LETTERA DEL NOSTRO CARO GLAUCO. TANTO I TEMI TRATTATI ( PER QUANTO VECCHI ) COME LA FORMA CON CUI VENGONO ESPOSTI, FANNO DI MARCUSE E DEBORD DUE DEI PADRI FONDATORI DELLA MODERNA CONTRORIVOLUZIONE.

SPERO SINCERAMENTE VI FACCIANO VENIR VOGLIA DI RIFLETTERE ED APPROFONDIRE IL TEMA.

COMBATTERE LA NOSTRA PERSONALE IGNORANZA È IL PRIMO PASSO PER POTERCI CONSIDERARE VERAMENTE LIBERI.

RINGRAZIAMO GLAUCO E METTIAMOCI A STUDIARE.

BUON ANNO COMPAGNI.


Passi tratti da L’uomo a una dimensione

"La borghesia e il proletariato, nel mondo capitalista, sono ancora le
classi fondamentali, tuttavia lo sviluppo capitalista ha alterato la
struttura e la funzione di queste due classi rendendole inefficaci come
agenti di trasformazione storica. Un interesse prepotente per la
conservazione ed il miglioramento dello status quo istituzionale unisce
gli antagonisti d’un tempo nelle aree più avanzate della società
contemporanea"…..

"La lotta per la soluzione ha superato le forme tradizionali. Le
tendenze totalitarie della società unidimensionale rendono inefficaci le
vie ed i mezzi tradizionali di protesta"….

"Al di sotto della base popolare conservatrice vi è il sostrato dei
reietti e degli stranieri. Essi permangono al di fuori del processo
democratico. Le loro condizioni e situazioni sono intollerabili. La loro
opposizione colpisce il sistema dal di fuori; è una forza elementare che
viola le regole del gioco, così facendo mostra che è un gioco truccato.
La loro forza si avverte dietro ogni dimostrazione politica per le
vittime della legge e dell’ordine. Il fatto che essi incomincino a
rifiutare di prendere parte al gioco può essere il fatto che segna
l’inizio della fine di un periodo "….


I MEDIA E L’ILLIBERTA’ (L’uomo a una dimensione, Einaudi, Torino,
1967, pagg. 253-255)

Alla negazione della libertà, e perfino della possibilità della
libertà, corrisponde la concessione di libertà atte a rafforzare la
repressione. È spaventoso il modo in cui si permette alla popolazione di
distruggere la pace ovunque vi sia ancora pace e silenzio, di essere
laidi e rendere laide le cose, di lordare l’intimità, di offendere la
buona creanza. È spaventoso perché rivela lo sforzo legittimo e persino
organizzato di conculcare l’Altro nel suo proprio diritto, di
prevenire l’autonomia anche in una piccola, riservata sfera
dell’esistenza. Nei paesi supersviluppati, una parte sempre piú
larga della popolazione diventa un immenso uditorio di prigionieri,
catturati non da un regime totalitario ma dalle libertà dei concittadini
i cui media di divertimento e di elevazione costringono l’Altro a
condividere ciò che essi sentono, vedono e odorano.

Come può una società ch’è incapace di proteggere la sfera privata
dell’individuo persino tra i quattro muri di casa sua asserire
legittimamente di rispettare l’individuo e di essere una società
libera? È ovvio che una società vien definita libera da ben altri
fondamentali risultati, oltre che dall’autonomia dei privati. Eppure,
l’assenza di quest’ultima vizia anche le maggiori istituzioni della
libertà economica e politica, negando la libertà alle sue nascoste
radici. La socializzazione di massa comincia nella casa ed arresta lo
sviluppo della consapevolezza e della coscienza. Per giungere
all’autonomia si richiedono condizioni in cui le dimensioni
represse dell’esperienza possano tornare di nuovo alla vita; la loro
liberazione richiede la repressione delle soddisfazioni e dei bisogni
eteronomi che organizzano la vita in questa società. Quanto piú essi son
diventati le soddisfazioni ed i bisogni propri dell’individuo, tanto
piú la loro repressione apparirebbe come una privazione davvero fatale.
Ma proprio in virtú di tale carattere fatale essa può produrre il
requisito soggettivo primario per un mutamento qualitativo, vale a dire
la ridefinizione dei bisogni.

Si prenda un esempio (sfortunatamente fantastico): la semplice assenza
di ogni pubblicità e di ogni mezzo indottrinante di informazione e di
trattenimento precipiterebbe l’individuo in un vuoto traumatico in cui
egli avrebbe la possibilità di farsi delle domande e di pensare, di
conoscere se stesso (o piuttosto la negazione di se stesso) e la sua
società. Privato dei suoi falsi padri, dei capi, degli amici, e dei
rappresentanti, egli dovrebbe imparare di bel nuovo il suo ABC. Ma le
parole e le frasi che egli formerebbe potrebbero venir fuori in modo
affatto diverso, e cosí dicasi delle sue aspirazioni e paure.

È certo che una situazione simile sarebbe un incubo insopportabile.
Mentre la gente può sopportare la produzione continua di armi nucleari,
di pioggia radioattiva, e di alimenti discutibili, essa non può (proprio
per questa ragione!) tollerare di essere privata del trattenimento e
dell’educazione che la rende capace di riprodurre i meccanismi
predisposti per la sua difesa o per la sua distruzione. L’arresto
della televisione e degli altri media che l’affiancano potrebbe quindi
contribuire a provocare ciò che le contraddizioni inerenti del
capitalismo non provocarono – la disintegrazione del sistema. La
creazione di bisogni repressivi è diventata da lungo tempo parte del
lavoro socialmente necessario – necessario nel senso che senza di esso
il modo stabilito di produzione non potrebbe reggersi. Qui non sono in
gioco né problemi di psicologia né problemi di estetica, ma piuttosto la
base materiale del dominio.

IRRAZIONALITA’ NELLA RAGIONE (L’uomo a una dimensione, Einaudi,
Torino, 1964, pagg. 11-13)

Nell’impossibilità di indicare in concreto quali agenti ed enti di
mutamento sociale sono disponibili, la critica è costretta ad arretrare
verso un alto livello di astrazione. Non v’è alcun terreno su cui la
teoria e la pratica, il pensiero e l’azione si incontrino. Persino
l’analisi strettamente empirica delle alternative storiche sembra
essere una speculazione irrealistica, e il farle proprie sembra essere
un fatto di preferenza personale (o di gruppo).

Ma l’assenza di agenti di mutamento confuta forse la teoria? Dinanzi
a fatti apparentemente contraddittori, l’analisi critica continua ad
insistere che il bisogno di un mutamento qualitativo non è mai stato cosí
urgente. Ma chi ne ha bisogno? La risposta è pur sempre la stessa: è la
società come un tutto ad averne bisogno, per ciascuno dei suoi membri.
L’unione di una produttività crescente e di una crescente capacità di
distruzione; la politica condotta sull’orlo dell’annientamento; la
resa del pensiero, della speranza, della paura alle decisioni delle
potenze in atto; il perdurare della povertà in presenza di una ricchezza
senza precedenti costituiscono la piú imparziale delle accuse, anche se
non sono la raison d’être di questa società ma solamente il suo
sottoprodotto: la sua razionalità travolgente, motore di efficienza e di
sviluppo, è essa stessa irrazionale.

Il fatto che la grande maggioranza della popolazione accetta ed è
spinta ad accettare la società presente non rende questa meno
irrazionale e meno riprovevole. La distinzione tra coscienza autentica e
falsa coscienza, tra interesse reale e interesse immediato, conserva
ancora un significato. La distinzione deve tuttavia essere verificata.
Gli uomini debbono rendersene conto e trovare la via che porta dalla
falsa coscienza alla coscienza autentica, dall’interesse immediato al
loro interesse reale. Essi possono far questo solamente se avvertono il
bisogno di mutare il loro modo di vita, di negare il positivo, di
rifiutarlo. È precisamente questo bisogno che la società costituita si
adopera a reprimere, nella misura in cui essa è capace di "distribuire
dei beni" su scala sempre piú ampia e di usare la conquista scientifica
della natura per la conquista scientifica dell’uomo.

Posto dinanzi al carattere totale delle realizzazioni della società
industriale avanzata, la teoria critica si trova priva di argomenti
razionali per trascendere la società stessa. Il vuoto giunge a svuotare
la stessa struttura della teoria, posto che le categorie di una teoria
sociale critica sono state sviluppate nel periodo in cui il bisogno di
respingere e sovvertire era incorporato nell’azione di forze sociali
efficaci. Tali categorie erano in essenza dei concetti negativi, dei
concetti d’opposizione, i quali definivano le contraddizioni realmente
esistenti nella società europea dell’Ottocento. Perfino la categoria
"società" esprimeva l’acuto conflitto esistente tra la sfera sociale e
quella politica – la società era antagonista rispetto allo Stato. Del
pari, termini come individuo, classe, privato, famiglia, denotavano
sfere e forze non ancora integrate con le condizioni vigenti, erano
sfere di tensione e di contraddizione. Con la crescente integrazione
della società industriale, queste categorie vanno perdendo la loro
connotazione critica e tendono a diventare termini descrittivi,
ingannevoli od operativi.

Un tentativo di riprendere l’intento critico di queste categorie, e
di comprendere come l’intento sia stato soppresso dalla realtà
sociale, si configura in partenza come una regressione da una teoria
congiunta con la pratica storica ad un pensiero astratto, speculativo:
dalla critica dell’economia politica alla filosofia. Tale carattere
ideologico della critica deriva dal fatto che l’analisi è costretta a
procedere da una posizione "esterna" rispetto alla tendenze positive
come a quelle negative, alle tendenze produttive come a quelle
distruttive nella società. La società industriale moderna rappresenta
l’identità diffusa di questi opposti – è il tutto che è in
questione. Al tempo stesso la teoria non può assumere una posizione
meramente speculativa; deve essere una posizione storica, nel senso che
deve essere fondata sulle capacità di una data società.

Questa situazione ambigua implica una ambiguità ancora piú
fondamentale. L’uomo a una dimensione oscillerà da capo a fondo tra
due ipotesi contraddittorie: 1) che la società industriale avanzata sia
capace di reprimere ogni mutamento qualitativo per il futuro che si può
prevedere; 2) che esistano oggi forze e tendenze capaci di interrompere
tale operazione repressiva e fare esplodere la società. Io non credo si
possa dare una risposta netta; ambedue le tendenze sono tra noi, fianco
a fianco, ed anzi avviene che una includa l’altra. La prima tendenza
predomina e qualsiasi condizione possa darsi per rovesciare la
situazione viene usata per impedire che ciò avvenga. La situazione
potrebbe essere modificata da un incidente, ma, a meno che il
riconoscimento di quanto viene fatto e di quanto viene impedito sovverta
la coscienza e il comportamento dell’uomo, nemmeno una catastrofe
produrrà il mutamento.

LA RAZIONALITA’ SCIENTIFICA NON E’ UN SAPERE NEUTRO

A mo’ di sommario, possiamo ora cercare di identificare piú
chiaramente il soggetto occulto della razionalità scientifica ed i fini
nascosti nella sua forma pura. Il concetto scientifico di una natura
universalmente controllabile configurò la natura come
materia-in-funzione senza fine, mero oggetto di teoria e di pratica. In
questa forma, il mondo-oggetto entrò a far parte della costruzione di un
universo tecnologico – un universo di strumenti mentali e fisici, di
mezzi in sé. Si tratta quindi di un sistema veramente "ipotetico", che
dipende da un soggetto verificante e validante.

I processi di validazione e di verifica possono essere puramente
teorici ma non avvengono mai nel vuoto, e mai hanno termine in una mente
privata, individuale. Il sistema ipotetico di forme e funzioni viene a
dipendere da un altro sistema – un universo di scopi prestabilito, nel
quale e per il quale esso si sviluppa. Ciò che appariva estraneo, alieno
al progetto teoretico, si mostra come parte della sua stessa struttura
(metodo e concetti); l’oggettività pura si rivela quale oggetto per
una soggettività che provvede il Telos, i fini. Nella costruzione della
realtà tecnologica non c’è nulla di simile ad un ordine scientifico
puramente razionale; il processo della razionalità tecnologica è un
processo politico.

Soltanto nel medium della tecnologia l’uomo e la natura diventano
oggetti fungibili di un’organizzazione. L’efficacia e la produttività
universali dell’apparato nel quale essi sono inclusi occultano gli
interessi particolari che organizzano l’apparato. In altre parole, la
tecnologia è diventata il maggior veicolo di reificazione – di
reificazione nella sua forma piú matura ed efficace. Non soltanto la
posizione sociale dell’individuo e la sua relazione con gli altri
appaiono determinate da qualità e da leggi oggettive, ma queste sembrano
perdere il loro carattere misterioso ed incontrollabile, e appaiono come
manifestazioni calcolabili della razionalità (scientifica). Il mondo
tende a diventare materia di amministrazione totale, che assorbe in sé
anche gli amministratori. La tela di ragno del dominio è diventata la
tela della Ragione stessa, e la società presente è fatalmente
invischiata in essa. Ed i modi trascendenti del pensiero appaiono
trascendere la stessa Ragione.

In queste condizioni, il pensiero scientifico (scientifico nel senso piú
lato, in quanto opposto al pensiero confuso, metafisico, emotivo ed
illogico) assume, al di fuori delle scienze fisiche, la veste di un
formalismo puro e in sé conchiuso (simbolismo) da un lato, e
dall’altro lato quella di un empirismo totale. (Il contrasto non è
un conflitto. Si osservi l’applicazione empirica della matematica e
della logica simbolica nelle industrie elettroniche). In relazione
all’universo stabilito di discorso e di comportamento, la
non-contraddizione e la non-trascendenza sono il denominatore comune.
L’empirismo totale rivela la sua funzione ideologica nella
filosofia contemporanea.

LA SPERANZA E’ NEI GIOVANI

Il vecchio detto americano "sediamoci a ragionare" è giustamente
diventato una battuta. È possibile ragionare con il Pentagono di
qualcosa che non sia l’efficienza relativa delle macchine per uccidere
e il loro prezzo? Il ministro degli Interni può ben ragionare con il
ministro e con i suoi consiglieri, e tutti insieme con i membri del
consiglio delle grandi industrie. Ma è un ragionare incestuoso, perché
sono tutti d’accordo sul punto fondamentale: il rafforzamento della
struttura del potere costituito. Pensare di ragionare "dall’esterno"
di questa struttura è ingenuo. Loro staranno a sentire solo nella misura
in cui le voci si possono tradurre in voti, che forse potranno mettere
sul cadreghino un altro gruppo della stessa struttura che ha lo stesso
interesse di base.

È un argomento schiacciante. Beltolt Brecht osservava che viviamo in un
tempo in cui parlare di un albero sembra un delitto, e da allora le cose
sono peggiorate. Oggi sembra un crimine il solo parlare di cambiamenti,
mentre la società si sta trasformando in un’istituzione di violenza, e
in Asia sta compiendosi il genocidio iniziato con l’eliminazione degli
indiani d’America. Il semplice potere di questa brutalità non è forse
invulnerabile alle parole, pronunciate o scritte, che lo mettono sotto
accusa? E le parole dirette contro chi pratica questo potere non sono
forse le stesse che vengono usate in sua difesa? Vi è un livello a cui
sembra giustificata anche l’azione assurda: l’azione infatti
colpisce, anche se solo per un momento, l’universo chiuso
dell’oppressione. Il sistema ha in sé il meccanismo
dell’escalation e se non la si ferma in tempo essa accelera la
controrivoluzione.

Eppure anche in questo sistema vi è un tempo per le parole e un tempo
per l’azione, tempi scanditi (segnati) dallo schieramento concreto
delle forze sociali. Dove manca l’azione rivoluzionaria di massa e la
sinistra è tanto piú debole, le sue azioni devono autolimitarsi. Ciò che
alla ribellione è imposto dalla repressione sempre piú dura e dalle
forze distruttive sempre piú concentrate nelle mani della struttura di
potere, deve diventare il terreno su cui ricomporsi e impostare le nuove
analisi. Occorre sviluppare strategie adatte a combattere la
controrivoluzione. Il risultato della lotta dipenderà in larga misura
dalla capacità dei giovani, non di integrarsi né di escludersi dalla
società, ma di imparare a ricomporsi dopo la sconfitta, a sviluppare una
nuova razionalità insieme con la nuova sensibilità, a reggere il lungo
processo educativo – indispensabile condizione per il passaggio a
un’azione politica di vasta portata. La prossima rivoluzione terrà
infatti occupate generazioni e generazioni, e la "crisi finale del
capitalismo" potrà durare anche un secolo.

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IL SILENZIO È DEI COLPEVOLI


La parola e` l’archetipo dal quale in ogni religione, la creazione prende origine.
L’essere umano e` la sola specie dotata di parola, siamo gli unici dunque, in grado di comprendere la creazione.

L’unione di molteplici punti di vista, la libera comunione d’idee ed esperienze sono per me, il solo sistema che possediamo per progredire com’esseri viventi. Questa è una delle ragioni che mi portano a scrivere. Perché la scrittura a differenza delle volatili parole, permane.
Non sono uno scrittore, non possiedo, infatti, l’arte del dire per iscritto. Da sempre pero` traccio segni indelebili, per raccontarmi e raccontare. Questo mi rende un semplice, artigiano di parole.

Quello che segue non ha altro valore oltre a quello che vorrete attribuirgli. Non vi sono verità assolute, ma opinioni che vi possono offrire alternativi punti di vista. Il mio unico auspicio è che possiate riflettere, così come ho fatto io, sulle molteplici cose che la vita mi ha portato a conoscere.